PATENTE A PUNTI

Il Governo al fine di rafforzare l’attività di contrasto al lavoro sommerso e vigilanza in materia di salute e sicurezza, con il decreto legge 19/2024 ha introdotto la cosiddetta patente a punti per la sicurezza sul lavoro che diventerà obbligatoria dal primo ottobre 2024.

 

Sono Tenuti al possesso della patente, le imprese e lavoratori autonomi del settore edile, che operano nei cantieri temporanei o mobili.

 

La stessa è rilasciata, in formato digitale, dalla competente sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro subordinatamente al possesso dei seguenti requisiti:

 

a) iscrizione alla camera di commercio industria e artigianato;

b) adempimento degli obblighi formativi di cui all’art. 37 del D.Lgs. 81/2008;

c) possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità (DURC);

d) possesso del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR);

e) possesso del Documento Unico di Regolarità Fiscale (DURF).

 

La patente è dotata di un punteggio iniziale di 30 crediti e consente ai soggetti di cui sopra di operare nei cantieri con una dotazione pari o superiore a 15 crediti.

 

Chi non prende la patento ha meno di 15 crediti non potrà lavorare nei cantieri e riceverà una sanzione amministrativa da un minimo di 6mila euro a un massimo di 12mila.

 

I punti potranno essere sottratti in misura variabile a seconda della gravità dell’illecito. Ad esempio:

 

  • In caso di incidenti che procurino una inabilità temporanea ne verranno tolti 10,
  • in caso di inabilità permanente la sanzione sarà di 15 punti in meno
  • la pena massima sarà imposta in caso di incidente mortale, con una decurtazione di 20 punti e la sospensione delle attività. Nei casi più gravi l’Ispettorato nazionale del lavoro potrà anche sospendere la patente fino a un massimo di 12 mesi

 

I crediti o punti potranno essere recuperati partecipando a corsi di formazione sulla sicurezza.

MAXI SANZIONE PER IL LAVORO IN NERO

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto-legge 19/2024 detto PNRR bis all’interno della nuova stretta per la tutela della sicurezza ne luoghi di lavoro, è previsto un nuovo aumento delle sanzioni in materia di lavoro irregolare:

 

La “maxisanzione” riguarda:

  1. i datori di lavoro privati, organizzati o meno in forma di impresa;
  2. le persone fisiche, nel caso utilizzino lavoratori impiegati con Libretto di famiglia;
  3. Sono esclusi i datori di lavoro domestico.

 

Per semplificare, alleghiamo le nuove sanzioni per il lavoro irregolare:

  • per ogni lavoratore irregolare, in caso di impiego fino a 30 giorni di lavoro effettivo:
    • fino al 1° marzo 2024, da 1.800 a 10.800 euro;
    • dal 2 marzo 2024, da 1.950 a 11.700 euro.
  • per ogni lavoratore irregolare, in caso di impiego da 31 a 60 giorni di lavoro effettivo:
    • fino al 1° marzo 2024, da 3.600 a 21.600 euro;
    • dal 2 marzo 2024, da 3.900 a 23.400 euro.
  • per ogni lavoratore irregolare, in caso di impiego oltre 60 giorni di lavoro effettivo:
    • fino al 1° marzo 2024, da 7.200 a 43.200;
    • dal 2 marzo 2024, da 7.800 a 46.800 euro.

 

Le stesse, inoltre, sono aumentate di un ulteriore 20 per cento in caso di impiego di lavoratori stranieriminori in età non lavorativa o lavoratori beneficiari del Reddito di cittadinanza, dell’Assegno di inclusione o del Supporto per la formazione e il lavoro (articolo 3-quater del DL n. 12/2002).

 

Ricordiamo che in caso di recidiva le sanzioni raddoppiano. Si applica quindi un aumento del 60 per cento in caso di lavoro irregolare.

INFORTUNI SUL LAVORO

L’attività lavorativa comporta il rischio di restare vittima di infortunio sul luogo di lavoro. Nonostante i progressi della scienza e l’adozione di misure di sicurezza sempre più rigide da parte delle imprese vi sono una serie di attività lavorative nelle quali si corre un rischio ineliminabile di infortuni.

L’infortunio sul posto di lavoro dal punto di vista giuridico 

Dal punto di vista giuridico, si definisce infortunio sul posto di lavoro, un evento traumatico, che avviene per una causa violenta sul posto di lavoro o anche solo in occasione di lavoro e che comporta l’impossibilità per il lavoratore di prestare l’attività di lavoro per un numero di giorni superiore a tre.

Dalla definizione si evince che non tutti gli eventi dannosi che il lavoratore può subire nell’ambito lavorativo possono essere considerati infortuni.

Un infortunio sul lavoro per essere definito tale deve rispondere a tre requisiti:

  • la causa violenta: l’infortunio sul lavoro, a differenza della malattia professionale, si produce in maniera repentina e non graduale nel tempo;

 

  • l’occasione di lavoro: l’infortunio sul lavoro non richiede necessariamente che l’evento traumatico avvenga sul posto di lavoro ma è sufficiente che ci sia un nesso di occasionalità con la prestazione di lavoro. Per questo motivo è considerato infortunio sul lavoro anche l’infortunio in itinere che si verifica nel tragitto casa-lavoro;

 

  • impossibilità temporanea al lavoro per più di tre giorni: se l’evento traumatico produce un’impossibilità di svolgimento della prestazione lavorativa per un numero di giorni inferiore a tre non sussiste un infortunio sul lavoro.

Ad esempio, la caduta di un peso su un piede, la quale impone il riposo a casa per una settimana può essere definita infortunio sul lavoro.

Non può essere definito infortunio invece una malattia bronchiale sviluppata dal lavoratore negli anni.

Come agire in caso di infortunio sul luogo di lavoro? 

Conseguentemente al verificarsi dell’infortunio, bisogna affrettarsi a ricevere le cure necessarie rivolgendosi al medico aziendale, qualora sia presente nel luogo di lavoro, al proprio medico curante o – nei casi più estremi – al pronto soccorso.

L’importanza dell’intervento medico oltre ad essere finalizzata a ricevere l’assistenza sanitaria più idonea al caso, è fondamentale per ottenere il certificato medico con il quale verranno attestati:

  • la diagnosi;
  • il numero dei giorni di inabilità temporanea al lavoro.

La legge all’art. 52 del T.U. prevede che in seguito all’avvenuto infortunio anche se di lieve entità, il lavoratore è obbligato a darne notizia al proprio datore di lavoro. Tale comunicazione deve essere immediata e tempestiva nell’interesse del lavoratore stesso, dato che non ottemperando a tale obbligo si perde il diritto alle prestazioni INAIL per i giorni antecedenti a quello in cui il datore ha avuto notizia dell’evento.

La denuncia di infortunio sul luogo di lavoro 

Il datore di lavoro a seconda dell’entità dell’infortunio e della prognosi dovrà effettuare:

  • la sola comunicazione di infortunio, se l’evento ha cagionato una prognosi ed una conseguente impossibilità del lavoratore a svolgere la propria attività lavorativa per almeno un giorno (successivo a quello dell’infortunio) o prolungata fino a tre giorni. L’obbligo di comunicazione ( 18, co. 1, lett. r) ha solo finalità informative e statistiche per il sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (Sinp) è vige ogni volta che si verifica un infortunio.

 

  • la denuncia d’infortunio, quando la prognosi è superiore a 3 giorni (oltre a quello dell’evento). La denuncia a differenza della comunicazione si rende necessaria affinché operi la tutela assicurativa e sia indennizzato l’infortunio dall’INAIL.

La denuncia dell’infortunio deve essere fatta telematicamente dal datore di lavoro compilando l’apposito modulo facilmente reperibile sul sito dell’INAIL.

Qualora il datore di lavoro non rispetti questi obblighi di denuncia o comunicazione, il lavoratore può rivolgersi alla sede INAIL competente e provvedere all’incombenza, munito di copia del certificato medico inerente all’infortunio.

Le conseguenze di un infortunio sul lavoro 

La legge prevede che i datori di lavoro debbano obbligatoriamente assicurare i lavoratori contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali presso l’Inail.

Il principio su cui si fonda l’assicurazione Inail è di tipo assicurativo. Il datore di lavoro versa all’Inail i premi commisurati al grado di rischio delle lavorazioni effettuate in azienda. In cambio, in caso di infortunio o di malattia professionale, l’Inail eroga al lavoratore assicurato delle prestazioni economiche e sanitarie.

Al pari di ciò che accade con riferimento alle prestazioni previdenziali, anche le prestazioni economiche dell’Inail sono regolate dal principio di automaticità delle prestazioni. Ciò significa che la tutela economica offerta al lavoratore infortunato scatta anche quando il datore di lavoro non è in regola con il pagamento dei premi assicurativi Inail. Ci sono, in realtà, una serie di casi in cui il principio di automaticità delle prestazioni non viene applicato.

L’infortunio sul lavoro produce due principali conseguenze per il lavoratore, quali:

  • il diritto ad assentarsi dal lavoro per tutte le giornate di prognosi indicate dal certificato medico di infortunio;
  • il diritto ad ottenere, al ricorrere dei relativi presupposti, le prestazioni economiche e sanitarie erogate dall’Inail.

In particolare, l’Istituto eroga ai lavoratori infortunati un’indennità giornaliera sostitutiva della retribuzione per tutte le giornate di assenza determinate dall’infortunio a partire dal quarto giorno e fino alla completa guarigione.

Se l’infortunio ha determinato una lesione permanente all’integrità psicofisica del lavoratore (danno biologico), a seconda della percentuale di danno riscontrata, l’Inail eroga delle prestazioni economiche aggiuntive sotto forma di rendita o capitale.

Il risarcimento del danno da parte del datore di lavoro 

Se l’infortunio si è verificato a causa della mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza e di prevenzione necessarie a tutelare efficacemente la sicurezza dei lavoratori, il lavoratore infortunato può chiedere anche il risarcimento del danno al datore di lavoro.

La quota di danno di cui può essere chiesto il ristoro è il cosiddetto danno differenziale, ovvero la differenza tra il danno quantificato, che il lavoratore ha subìto a causa dell’infortunio e la quota di danno biologico già liquidata dall’Inail. Si tratta di una fattispecie di responsabilità contrattuale in quanto il datore di lavoro, per legge è gravato dal cosiddetto obbligo di sicurezza. E’ tenuto a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori adottando tutte le misure di sicurezza necessarie.

MINORI AL LAVORO. QUALI SONO LE REGOLE PER UN CORRETTO IMPIEGO?

La tutela del lavoro dei minori in Italia trova il suo fondamento nella Convenzioni Internazionali, prima fra tutte la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, e negli articoli 34 e 37 della Carta Costituzionale.

La disciplina specifica in materia è contenuta nella legge 17 ottobre 1967, n. 977, “Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”, successivamente modificata, a seguito del recepimento della normativa comunitaria, dai D.lgs. 4 agosto 1999, n. 345 e D.lgs. 18 agosto 2000, n. 262.

I minori stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possono svolgere attività lavorativa nei limiti della disciplina vigente per il lavoro dei minorenni in Italia.

Qual è l’età minima per poter lavorare in Italia?

L’età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore a 16 anni (L. 296/2006, art. 1, comma 622), o a 15 nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro.
Tale regola vale per tutti i tipi di rapporti di lavoro instaurabili con minori.
Le uniche eccezioni ammesse al limite d’età minima sono connesse allo svolgimento di attività lavorative di carattere culturale, artistico o pubblicitario o comunque nel settore dello spettacolo. In tali casi è necessaria la preventiva autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente (ovvero quella del luogo dove verrà svolta l’attività lavorativa), la quale viene concessa a condizione che vi sia il previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale e che si tratti di attività che non pregiudichino la sicurezza, l’integrità pisco-fisica e lo sviluppo, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale da parte del minore (L. 977/67, art. 4).

Il minore che ha compiuto 16 anni può sottoscrivere il contratto di lavoro?

Si, il minore/adolescente che ha compiuto 16 anni può sottoscrivere in autonomia il contratto di lavoro, senza che sia necessaria l’assistenza di coloro che esercitano la potestà genitoriale.

Il rapporto di lavoro instaurato con un minore è soggetto ad una disciplina particolare?

Il minore che lavora ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite e, a parità di lavoro, alla stessa retribuzione del lavoratore maggiorenne, nonché a particolari tutele previste dalla legge. La legge n. 977/1967 stabilisce che il datore di lavoro, prima di assumere il minore ha l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi anche con specifico riguardo all’età e di sottoporlo presso la ASL territorialmente competente a visite mediche preventive e periodiche per farne valutare l’idoneità al lavoro. L’orario di lavoro dei minori non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali. I minori non possono quindi svolgere lavoro straordinario. L’orario di lavoro non può durare senza interruzioni più di 4 ore e mezza, dopo di che si ha diritto ad un riposo di almeno 1 ora (i contratti collettivi possono però ridurre la durata del riposo intermedio a mezz’ora).
I minori hanno diritto ad un periodo di riposo settimanale di almeno due giorni, se possibile consecutivi, e comprendenti la domenica; tale periodo può essere ridotto, per comprovate ragioni di ordine tecnico ed organizzativo, ma non può essere inferiore a 36 ore consecutive, salvo che il caso di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati o di breve durata nella giornata. Per alcune attività il riposo settimanale può essere concesso in giorno diverso dalla domenica: trattasi delle attività culturali, artistiche, sportive, pubblicitarie e dello spettacolo, oppure di attività svolte nei settori turistico, alberghiero e della ristorazione – ivi compresi bar, gelaterie, pasticcerie ecc.- attività per le quali il maggior carico di lavoro si concentra spesso nella domenica.

I minori possono essere adibiti a lavoro notturno?

È vietato adibire i minori a lavoro notturno (dalle 22 alle 6 o dalle 23 alle 7). Tale divieto subisce deroghe se per causa di forza maggiore può ostacolare il funzionamento dell’azienda, a condizione che il datore di lavoro ne dia immediata comunicazione all’Ispettorato del lavoro, indicando la causa ritenuta di forza maggiore, i nominativi dei minori impiegati e le ore per cui sono stati impiegati. La deroga è ammessa solo “eccezionalmente e per il tempo strettamente necessario”, “purché tale lavoro sia temporaneo e non ammetta ritardi” e “non siano disponibili lavoratori adulti”: una volta arginata la forza maggiore o avuta la possibilità di organizzare squadre di adulti, si ripristina automaticamente il divieto.

Vi sono dei lavori vietati ai minori?

L’art. 6 della legge n. 977/67 stabilisce il divieto di adibire i minori ai lavori potenzialmente pregiudizievoli per il loro pieno sviluppo psico-fisico; le attività vietate sono specificate nell’allegato I della legge (tale allegato I è stato introdotto con il D. Lgs n. 345/99 e successivamente modificato con il D. Lgs n. 262/2000). In deroga a tali divieti, lo svolgimento delle attività indicate nell’allegato I è consentito agli adolescenti per indispensabili motivi didattici o di formazione professionale e soltanto per il tempo strettamente necessario alla formazione stessa svolta.
I minori non possono, inoltre, essere adibiti al trasporto di pesi per più di 4 ore durante la giornata, compresi i ritorni a vuoto.

Con quali tipi di contratti si possono assumere minori?

Il D. Lgs. n.77/2005 ha regolamentato l’alternanza scuola-lavoro https://www.istruzione.it/alternanza/ che interessa i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età i quali possono:
• svolgere l’intera formazione, fino a 18 anni, attraverso l’alternanza di scuola e lavoro sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica oppure formativa;
• instaurare un contratto di apprendistato finalizzato al conseguimento di una qualifica o di un diploma professionale.

Dal 25 aprile del 2012 è definitivamente entrata in vigore la nuova disciplina sui contratti di apprendistato.  I giovani di età compresa tra i 15 ed i 25 anni possono stipulare un contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale della durata di tre o quattro anni. L’assunzione di apprendisti minori attraverso tali contratti di apprendistato è però possibile solo nelle Regioni che hanno adottato, sentite le parti sociali, apposita regolamentazione sui profili formativi dell’apprendistato.
I contratti di apprendistato professionalizzante o di mestiere (diretto al conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali) e di apprendistato di alta formazione e ricerca (indirizzato al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore o di un titolo di studio universitario o di alta formazione), possono essere stipulati solo da soggetti maggiorenni oppure che abbiano compiuto 17 anni e siano già in possesso di una qualifica professionale.
I minori che hanno compiuto 16 anni possono stipulare anche contratti di lavoro diversi dall’apprendistato, sia a tempo determinato che indeterminato.
Solo i ragazzi che hanno compiuto 18 anni possono essere assunti con un contratto di inserimento (D. Lgs. 276/2003, art. 54).

RIENTRO DEI CERVELLI 2023: DOCENTI, RICERCATORI E LAVORATORI IMPATRIATI

Il rientro dei cervelli 2023, anche detto bonus cervelli, è un’agevolazione fiscale volta ad incentivare il rientro in Italia dei cittadini italiani che negli anni scorsi hanno trasferito la propria residenza all’estero.

Può, dunque, beneficiare del rientro dei cervelli 2023 chi trasferisce la propria residenza fiscale in Italia al fine di esercitare la propria attività lavorativa.

Come funziona il Rientro dei cervelli 2023

L’agevolazione fiscale consiste in una tassazione dal 30% al 10% del reddito da lavoro dipendente o autonomo. Il restante 70% o 90% è esentasse.

Chi beneficia del rientro dei cervelli 2023 paga le tasse solo sul 30% del reddito prodotto in Italia se residente in Sardegna,

NOTA BENE: l’agevolazione entra in vigore nel momento in cui il soggetto diventa fiscalmente residente in Italia.

Rientro dei cervelli 2023: Chi sono i destinatari?

Requisiti per lavoratori impatriati

  • non essere stato residente in Italia per 2 periodi d’imposta precedenti al momento del rientro
  • risiedere in Italia per almeno 2 periodi d’imposta
  • svolgere attività di lavoro dipendente o autonomo in Italia
  • trasferire la residenza fiscale in Italia

Degno di nota il fatto che è riconosciuta anche l’attività di lavoratore autonomo e d’impresa.

Quanto dura l’agevolazione?

Esistono dei limiti di tempo legati all’agevolazione del rientro dei cervelli 2023.

Per lavoratori impatriati la durata del beneficio è legata al mantenimento della residenza in Italia. Nello specifico:

  • durata ordinaria è di 5 anni
  • 10 anni nel caso in cui il lavoratore acquisti un immobile come residenza in Italia oppure se ha un figlio minorenne a carico o in affido preadottivo

Come fare domanda per il rientro dei cervelli 2023

La domanda per il Regime degli Impatriati segue due iter differenti tra lavoratori dipendenti e autonomi.

  • i lavoratori dipendenti, per applicare l’agevolazione prevista dal Regime degli Impatriati, devono presentare una domanda scritta al datore di lavoro contenente un’autodichiarazione ex DPR 445/2000. A seguito della richiesta, il datore di lavoro applica le ritenute fiscali sulla specifica percentuale del reddito complessivo in busta paga;
  •  in alternativa, il lavoratore può fruirne direttamente in sede di dichiarazione dei redditi

SI POSSONO AVERE DUE CONTRATTI DI LAVORO?

Il nostro ordinamento prevede la possibilità, in via generale, di stipulare due contratti di lavoro. Esistono, però, dei limiti, ma anche delle eccezioni in alcuni casi. Ma procediamo con ordine.

Se dal punto di vista della tipologia contrattuale (lavoro autonomo, dipendente o di collaborazione a tempo determinato o indeterminato) non ci sono limiti, questi si pongono, invece, per quanto riguarda ad esempio l’orario di lavoro. Affrontiamo, ora, meglio la questione.

I limiti alla stipula di due contratti di lavoro

La possibilità di avere due contratti di lavoro incontra alcuni limiti normativi e contrattuali:

  • il lavoratore può fare un doppio lavoro a patto che le aziende per cui lavora non operino nello stesso settore;
  • venga rispettato il principio di riservatezza riguardante il divieto di divulgazione di informazioni circa i metodi di lavoro o l’organizzazione di un’altra azienda per cui si lavora.

La normativa in materia di orario di lavoro

Esistono diverse disposizioni di legge che disciplinano la durata e l’organizzazione dell’orario di lavoro. In particolare, per legge:

  • il monte ore di lavoro settimanali non deve superare le 48 ore;
  • deve essere garantito un riposo di 11 ore consecutive tra una prestazione di lavoro e l’altra;
  • deve essere assicurato almeno un giorno di riposo a settimana.

Come se può dedurre, il limite delle 48 ore settimanali rende evidente che non potrà stipulare un secondo contratto chi ha un lavoro full-time, ma ci sono delle eccezioni ai limiti normativi in materia di orario di lavoro.

Eccezioni alla normativa in materia di orario

A fronte di un contratto di lavoro subordinato full-time o part-time, il lavoratore può stipulare un secondo contratto:

  • di collaborazione, che non prevede nessun limite di orario;
  • di prestazione occasionale, purché non nell’ambito della stessa azienda
  • come autonomo, sia a livello professionale che occasionale.

RIMBORSI ESENTI

Si parla di rimborso spese, quando le somme erogate dal datore di lavoro al dipendente, collaboratore o amministratore hanno lo scopo di restituire quanto anticipato in nome e per conto del datore stesso.

I rimborsi spese non hanno natura retributiva e quindi non incidono su altri elementi della retribuzione quali ad esempio TFR e non sono assoggettati, a contributi previdenziali.

 

Nel caso di trasferte, si intende l’esercizio della prestazione lavorativa da parte del dipendente al di fuori della sede ordinaria di lavoro. Possono essere trasferte nel territorio del comune o all’estero

 

i rimborsi possono essere così classificati:

  1. rimborsi analitici o a piè di lista;
  2. rimborsi chilometrici
  3. forfettari o indennità;
  4. in forma mista (ovvero parte rappresentata da rimborsi analitici e parte da rimborsi forfettari).

 

  1. Rimborsi analitici o a piè di lista:rimborso completo di tutte le spese regolarmente documentate.

La documentazione dovrà essere conservata dal datore di lavoro tale disposizione si applica anche per le trasferte all’estero.

La documentazione delle spese sostenute può essere rappresentata da scontrini fiscali, fatture, ricevute fiscali (vitto e alloggio), biglietti mezzi pubblici, biglietti aerei o del treno (trasporto effettuato non con mezzi propri), carta carburante, ecc.

 

  1. rimborsi chilometrici: Nel caso in cui per lo svolgimento della trasferta il dipendente sia stato autorizzato all’uso dell’auto personale avrà diritto al rimborso chilometrico secondo le tariffe ACI in relazione alle caratteristiche della propria autovettura

 

  1. Rimborsi forfettari o indennità: i rimborsi forfettari un indennizzo per le spese sostenute per vitto e alloggio.

Affinché i rimborsi forfettari siano da considerarsi esclusi dall’imposizione fiscale e contributiva è necessario che gli importi corrisposti rispettino alcuni limiti, ovvero:

– € 46,48 al giorno per le trasferte effettuate fuori del territorio comunale ma all’interno dello Stato Italiano;

– € 77,46 al giorno per le trasferte effettuate all’estero.

l’eccedenza sarà considerata imponibile.

 

 

NOTA SPESE

Per ottenere il rimborso delle spese sostenute in trasferta, il lavoratore deve compilare la nota spese: un documento, cartaceo o digitale, fornito dal datore di lavoro. Alla nota spese deve poi allegare la documentazione fiscale richiesta a seconda del tipo di rimborso spese scelto dall’azienda.

TIROCINIO VANTAGGI E DIFFERENZE

E’ il periodo di tempo in cui la risorsa riceve una prima formazione presso un’azienda tendenzialmente operante in un settore affine agli studi condotti e la formazione dell’aspirante lavoratore.

Non è un rapporto di lavoro vero e proprio

Il vantaggio per l’azienda è che mediante i tirocini può pian piano valutare le capacità di una risorsa, prepararla ed eventualmente decidere di inserirla come lavoratore subordinato una volta terminato il periodo di stage.

I tirocini curricolari:

  • sono rivolti ai giovani futuri lavoratori ancora impegnati in percorsi di studi finalizzati all’ottenimento del diploma o della laurea. Questa modalità di tirocinio o è inserita direttamente nel piano di studio dell’istituto (o Università) oppure rientra nei percorsi formativi, uno su tutti alternanza scuola-lavoro.
  • L’accordo è raggiunto mediante Convenzione.
  • potrai assegnare fino a 5 tirocinanti per tutor aziendale.
  • Il tirocinio curricolare non prevede in generale alcun rimborso o indennità da corrispondere allo stagista.

 

Tirocini extracurriculari:

  • Oltre ai giovani possono accedervi anche disoccupati e inoccupati. L’obiettivo del tirocinio è: favorire l’inserimento nel mercato del lavoro.
  • ha una durata minima di 6 mesi e massima è di 12 mesi.
  • devono obbligatoriamente essere retribuiti. Correttamente si tratta di una indennità di partecipazione, mai inferiore ai 400 euro mensili e massimo 800 euro
  • Onde evitare un abuso dello strumento, puoi avvalerti di:
  1. Uno stagista fino a 5 lavoratori
  2. Due stagisti fino a 19 lavoratori
  3. Oltre i 20 lavoratori gli stagisti non possono essere più del 10%

 

Inoltre, ogni tutor aziendale può seguire al massimo tre tirocinanti.

 

Infine, qualora il tirocinante rientri nel progetto Garanzia Giovani la retribuzione non è interamente a tuo carico ma viene corrisposta, in parte, anche dalla Regione.

CONGEDO PARENTALE ALL’80% PER IL PRIMO MESE

Ultima novità relativamente al congedo parentale è l’aumento dal 30 all’80% della retribuzione spettante per il primo mese di congedo parentale.

Il mese indennizzato all’80% della retribuzione è uno solo per entrambi i genitori e può essere fruito in modalità ripartita tra gli stessi o da uno soltanto di essi.

Questa mensilità può essere fruita dal 1° gennaio 2023 e comunque entro i 6 anni del bambino (o del suo ingresso in famiglia). Le successive mensilità possono invece essere fruite entro i 12 anni.

 

Quindi questa mensilità particolare con l’80% della retribuzione non spetta:

 

  • a chi ha già fruito del primo mese di congedo parentale entro il 31 dicembre 2022,
  • per i figli con età superiore ai 6 anni (o se sono già passati 6 anni dal suo ingresso in famiglia).

LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO

Il contratto di prestazione occasionale si applica alle prestazioni che sono caratterizzate dalla saltuarietà purchè nel rispetto dei seguenti limiti:

  • 5.000 euro con riferimento alla totalità degli utilizzatori;
  • 10.000 euro con riferimento alla totalità dei prestatori;
  • 2.500 euro per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore.
  • 15.000 euro per gli utilizzatori che operano nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento che hanno alle proprie dipendenze più di 25 lavoratori (art. 37, D.L. n. 48/2023).

 

Chi non può utilizzarlo?

  • Le imprese che hanno alle proprie dipendenze più di 10 lavoratori subordinati a tempo indeterminato;
  • le imprese del settore agricolo;
  • le imprese dell’edilizia e di settori affini, le imprese esercenti l’attività di escavazione o lavorazione di materiale lapideo, delle imprese del settore delle miniere, cave e torbiere;
  • nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi;

 

Come si procede?

Per poter accedere alle prestazioni occasionali, gli utilizzatori devono preventivamente registrarsi sulla piattaforma delle prestazioni occasionali e alimentare il proprio portafoglio elettronico virtuale, per poi procedere all’invio della comunicazione relativa alla prestazione lavorativa tramite la piattaforma delle prestazioni occasionali dell’INPS.

Per attivare il contratto di prestazioni accessorie e le relative tutele, l’utilizzatore almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione deve comunicare tutti i dati tramite il servizio online dedicato.

La revoca della comunicazione precedentemente inserita, può essere effettuata entro tre giorni dalla data in cui la prestazione stessa si sarebbe dovuta svolgere.

 

 

Fonte one lavoro